Il potenziamento della sanità territoriale per i pazienti diabetici non può prescindere dall’inserimento delle prestazioni podologiche nei Livelli Essenziali di Assistenza. Oltre 3 milioni di diabetici non ottengono assistenza podologica a fronte di un aumento costante della spesa sanitaria rivolta alla gestione del piede diabetico.
La legge 115 del 1987 ha definito il diabete come malattia di elevato interesse sociale ponendo obiettivi quali la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura tempestiva e indicando l’istituzione di una rete assistenziale specialistica distribuita su tutto il territorio nazionale al fine di gestirlo adeguatamente. Le persone con diabete nel nostro Paese sono più di 3 milioni e mezzo, con una crescita del 60% dal 2000 al 2019 (In questo periodo i diabetici sono passati dal 3,8% della popolazione al 5,8%). Le condizioni socio-economiche associate all’aumento dell’aspettativa di vita hanno portato un aumento esponenziale delle complicanze croniche come il piede diabetico. Le conseguenze di questa complicanza sono drammatiche e rappresentano una grande componente della spesa sanitaria: il piede diabetico da solo assorbe il 12-15% delle risorse economiche destinate al diabete. ll 15% degli assistiti andrà incontro ad un’ulcera, altri ad amputazione di gamba che nel 70% dei casi è preceduta da un’ulcera, associata ad un alto grado di morbilità e mortalità entro 5 anni dall’esordio della stessa e che è tra le 2-4 volte più elevata tra i soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2 con complicanze al piede. I costi unitari di gestione dell’ulcerazione possono andare da 4.700 € sino a più di 40.000€ (1) se il soggetto va incontro a successiva amputazione. Le evidenze più recenti che considerano i costi ci dicono che al piede diabetico viene destinato l’1% di tutto il badget annuale del Servizio sanitario nazionale inglese. (2-3)
A questo quadro di per sé importante si aggiunge l’effetto della pandemia che ha impresso un’accelerazione alla crescita del diabete nel nostro Paese, non solo per la possibilità che il Coronavirus distrugga le cellule che producono insulina, ma anche per l’adozione di stili di vita poco sani. In parallelo, sta ricevendo grande attenzione l’ipotesi che le persone con diabete siano maggiormente a rischio di sviluppare il Long Covid (4) , una condizione caratterizzata da sintomi persistenti dopo la guarigione che si manifestano anche con lesioni vascolari tipiche del piede diabetico. È perciò di cardinale importanza gestire in maniera strutturata e multidisciplicare questa terribile affezione dell’arto inferiore d’organo, attraverso la costituzione di 3 livelli di assistenza indicati dagli standard-care delle società scientifiche nazionali (SID) e internazionali (IWGDF) dove il Podologo è annoverato come professionista imprescindibile(5). La presenza del Podologo è quindi richiesta in tutti e 3 i livelli di gestione del piede diabetico: nel 1° affianca il MMG per un’assistenza territoriale capillare, nel 2° e 3° è integrato nell’équipe multidisciplinare che lavora nelle fasi acute della patologia. Questo approccio ha dimostrando che il gruppo multidisciplinare per la cura del piede diabetico può ridurre i tassi di amputazione da un 49% ad un 85% in base alla presenza di una o più complicanze (6-11).
A livello normativo solo la Regione Toscana, con la DR 698/2016, nella strutturazione del PDTA sul piede diabetico e la Regione Lazio nel suo Piano della malattia diabetica (DCA U00581/2015) hanno previsto la figura del Podologo del territorio, considerandolo componente effettivo del team di prevenzione. Di maggior impatto sulla salute pubblica il DGP 1063/2017 della Provincia autonoma di Bolzano che ha deliberato l’offerta di prestazioni podologiche per l’assistito affetto da diabete mellito di tipo I e II con relativo tariffario.
Purtroppo, ad oggi, la reale assistenza podologica è disattesa da un punto di vista operativo in quanto l’assenza di prestazioni podologiche all’interno dei LEA non consente di avere il Podologo in nessuno dei tre livelli assistenziali previsti, se non in alcune Regioni italiane che hanno previsto il suo inserimento.
Considerata l’importanza legale (legge 24/2017) rivestita dalle LG basate su evidenze scientifiche, l’assenza di prestazioni podologiche all’interno del Nomenclatore tariffario nazionale dei LEA e dall’équipe di gestione del piede diabetico su tutto il territorio italiano, determina una gestione della governance sanitaria inefficace, inefficiente ed antieconomica nella produzione di valore in termini di salute pubblica, sicurezza ed adeguatezza delle cure e della persona assistita.
“Una gestione basata sulle evidenze scientifiche ad oggi in Italia non è applicabile in quanto è necessario avere un integrazione dei LEA attraverso l’inserimento delle prestazioni podologiche che permettano il raggiungimento di un’assistenza sempre più vicina ai bisogni della persona assistita e soprattutto che permetta l’accesso alle cure sempre più di qualità, appropriate ed efficaci” – afferma Vito Michele Cassano, Presidente della Commissione di albo nazionale dei Podologi. “Ad oggi le cure podologiche sono, per quasi la totalità del territorio nazionale, a carico completo dell’utenza. La sola forma privatistica comporta un aumento dei costi sanitari e sociali che ricade sulle fasce di popolazione meno agiate che tendono ad essere sempre più povere e meno inclini alla cura e soprattutto alla prevenzione delle complicanze del piede diabetico. Inoltre, il quadro futuro si prospetta ancor più negativo pensando all’aumento del numero dì diabetici e delle complicanze rientranti nel sindrome da Long-Covid che affliggono anche il piede. Una riorganizzazione e umanizzazione delle cure dell’assistito affetto da piede diabetico non può prescindere da un approccio podologico. Occorre una politica atta a garantire livelli di assistenza essenziali per perseguire i bisogni di continuità assistenziale dei malati cronici tramite la previsione del Podologo in un modello di integrazione sul territorio nazionale, anche a fronte dei previsti interventi di riorganizzazione della sanità (PNRR) con una migliore standardizzazione, equità d’accesso alle prestazioni sanitarie, prossimità e domiciliarità delle cure”.
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